LA SICUREZZA DELLA PAURA
Giuliana Occhiuto
Riferiscono le cronache che nel 2006 ci sono stati in Italia 102.519 tra meeting, congressi, seminari, convention, 280 ogni giorno, 12 ogni ora, uno ogni cinque minuti.
Un mio amico, antropologo e scrittore, mi dice che l’Italia è il paese europeo dove si pubblicano più libri ma il 75% di questi può vantare il primato di non avere venduto nemmeno una copia, il che spiega poi perché siamo anche il paese europeo con meno lettori.
Insomma siamo un popolo di grandi contraddizioni, ci piace fare la “muina”, termine dialettale calabrese che rende in maniera più efficace l’equivalente in italiano che è confusione.
Su qualsiasi argomento che richiama l’attenzione popolare si scrivono fiumi d’inchiostro, si consumano decine di inchieste, si sprecano dibattiti televisivi, insomma un’amplificazione mediatica e ridondante che, in sostanza, finisce per fare confusione.
Prendiamo, per esempio, il tema della sicurezza delle città.
Ha suscitato grande scalpore la proposta di Sergio Cofferati – sindaco di Bologna – che chiede più potere per i sindaci al fine di combattere l’emergenza criminalità.
Cofferati parte da un ragionamento elementare quello che la sicurezza non è di destra o di sinistra ma è un diritto fondamentale di tutti i cittadini.
L’intellighenzia di sinistra è subito insorta! Ed anche la Chiesa ha sentito il dovere di dire la sua. L’Arcivescovo di Milano, Dionigi Tettamanzi, ha richiamato la necessità di “…intervenire con il cuore e con la mente, senza alimentare contrapposizioni, senza soluzioni unilaterali che fanno crescere la paura della gente.”
Perché – a mio parere – il vero cuore del problema è la paura che contagia ognuno di noi.
I dati ci dicono che l’83% degli italiani pensa che negli ultimi anni la criminalità sia aumentata.
Nei fatti non è così.
Secondo i dati del Ministero dell’Interno negli ultimi dieci anni i furti d’auto sono diminuiti, così come i furti nelle abitazioni e gli scippi.
Nonostante ciò, la percezione di noi tutti è completamente diversa al punto tale da stimolare posizioni oltranziste, come quella del sindaco di Treviso o, più moderate, ma parimenti discutibili, quali quelle dei sindaci sceriffi di Bologna o Firenze.
Perché cresce la paura? Perché cresce l’inquietudine sociale.
Ognuno di noi percepisce l’ambiente in cui viviamo come insicuro perché le nostre città sono diventate invivibili, perché il territorio si è degradato. Ma, soprattutto, perché la violenza della solitudine e la volgarità dell’indifferenza ci rendono più esposti alla paura.
Così è per gli anziani, che vivono ormai sempre più soli.
Così è per i giovani, che crescono sperimentando sulla propria pelle comportamenti sempre più violenti, nei quartieri periferici ma anche nelle scuole e nei ritrovi del mondo della notte.
Ci sentiamo insicuri perché siamo più isolati e perciò più vulnerabili, in un mondo allargato – nei suoi confini e nelle sue etnie – che moltiplica tensioni e minacce.
Si finisce, così, per proiettare sull’extracomunitario di turno lo spettro delle nostre paure e delle nostre insicurezze.
Lo spazio intorno a noi appare, perciò, ostile e straniero.
Negazione di riconoscimento, rifiuto di prestare rispetto e minaccia di esclusione si affiancano spesso ad episodi di sfruttamento e discriminazione.
Sarebbe necessario prospettare e realizzare modalità e strategie di integrazione e non continuare ad assecondare – e, quindi, a dilatare – questa sindrome dell’insicurezza.
La società è insicura perché la politica invece di offrire certezze insegue iniziative provocatorie, efficaci dal punto di vista dell’immagine ma del tutto inadeguate ad affrontare il problema.
E così la “tolleranza zero”, le ronde leghiste o le multe ai lavavetri diventano la “muina” che non basta a mascherare il disagio, sempre più grande e avvertito, di non saper controllare le ombre della nostra paura.