IL FASCINO DISCRETO DELLE FUSIONI BANCARIE
Antonio Chiappetta
Sono un non più giovane dipendente di CARIME.
Da qualche tempo nella mia vita è tutto un giramento: sto girando per le filiali, mentre mi gira la testa, mentre faccio girare i programmi per il nuovo PAO (o, forse, mi come Mission impossibile…).
Non ne posso più: mi sembra ieri che, dopo l’acquisizione delle tre ex Casse di Risparmio da parte di Banca Intesa, avevo ricevuto la mission di testare il nuovo sistema operativo, di gran lunga peggiore di quello che avevamo noi, ma, si sa, chi comanda impone le sue scelte ed i suoi software, la storia è vecchia.
Avevo quindi cominciato diligentemente ad inneggiare al nuovo che avanzava.
Disgraziatamente, non era riuscito ad avanzare di molto.
Mentre stavo ultimando le ultime filiali ed ero riuscito a spiegare come si faceva a chiudere un conto persino ai colleghi prossimi alla pensione (sia pure a costo di beccarmi una serie di colorate bestemmie in osco-salernitano), una telefonata improvvisa quanto improvvida mi comunicava che avrei dovuto affrontare repentinamente un ulteriore corso di formazione alla Banca Popolare di Commercio e Industria, nostro nuovo padrone, dove avrei imparato a declinare in longobardo la triade: “apri-il-deposito-chiudi-il-deposito-digli-che-poteva-andare-peggio” ai clienti in lacrime, fulminati dagli ultimi rendimenti dei fondi azionari.
Stoicamente, provvedevo alla bisogna e, dopo qualche mese di full immersion, riuscivo finalmente a far capire anche ad un “ex cozzaro” del brindisino riciclatosi costruttore (cliente tipo di qualche lontana filiale) l’importanza di aspettare che la stampante avesse completato tutti i moduli che avrebbe dovuto firmare, evitando di maltrattare nel frattempo il direttore della filiale medesima, già sottoposto ad una dura opera di rieducazione da parte del capoarea.
Ma non c’è pace tra gli ulivi, come diceva quell’altro cliente – latifondista del reggino – che aveva dovuto licenziare (si fa per dire) gli ultimi albanesi della stagione, per sostituirli con i senegalesi, in verità raccoglitori di datteri ma di più modeste pretese economiche.
Devo dirvi un’altra cosa.
Come molti della mia generazione, ero e sono iscritto al Sindacato.
Ebbene, per tale inqualificabile condizione, dall’avvento di alcuni “lanzichenecchi”, particolarmente lungimiranti, e nei due anni successivi, mi sono dovuto far carico di un lungo e penoso periodo di espiazione, nei quali la mia Banca era diventata – ad opera di questi stessi lanzichenecchi seguaci di un oscuro culto che predicava l’annientamento di ogni voce che contrastasse con il verbo aziendale – il centro nazionale della repressione antisindacale.
Dopo essere stato costretto ad umilianti autocritiche per non correre il rischio di un immediato trasferimento nella sperduta filiale di Vattelappesca, speravo di poter finalmente tirare il fiato: illusione! Pochi mesi dopo, venivamo a sapere di essere stati catturati – tutti, compresi gli sventurati di BPCI, che ancora, mi risulta, stanno piangendo sulle loro disgrazie – da certi animosi sostenitori di Alberto da Giussano, bergamaschi puri ma soprattutto duri.
Nuovo drastico cambio di programmi: quelli software, intendo, del tutto incompatibili con le delicate finezze cui eravamo abituati.
Questa volta, tuttavia, ci ripetevamo l’un con l’altro per farci coraggio, sarà certamente l’ultima.
Chi li compra adesso a questi, gagliardi e tosti come sembrano? Allora, impariamo tutto daccapo che ora con questi sistemi (sempre software, naturalmente) ci andiamo, finalmente, in pensione.
Avevo parlato troppo presto.
Sono i bresciani ora (che, come loro stessi elegantemente affermano, in fatto di finezza la mettono in quel posto a tutti) a comandare.
Et voilà: altro giro, altro regalo (per i venditori di programmi, ovvio). Sono costretto ad imparare di nuovo tutto, per bene.
Intanto, ad ogni giro, qualcuno dei miei vecchi colleghi sparisce, inghiottito da uno dei tanti efficientamenti, parola oscura ma che deve avere a che fare con la già citata finezza di cui sopra. Sono veramente preoccupato: quando verrà il mio turno? O forse non vedo l’ora che arrivi il mio turno? Chissà!