CREATIVI E SQUATTRINATI
Deborah Lentini
Nell’Italia di oggi chiunque abbia uno stipendio può ritenersi fortunato o addirittura un privilegiato; ma non tutto quel che luccica è oro.
Infatti, gli stipendi degli italiani sono al limite della sopravvivenza.
Le soluzioni da considerare sarebbero due: accorciare i mesi di almeno una settimana oppure aumentare le retribuzioni. Considerato che la prima soluzione è una utopia, è chiaro che la più plausibile sia la seconda.
A darne la conferma è, ora, anche Mario Draghi, il Governatore di Bankitalia, che ha lanciato l’invito a fare tornare a crescere le retribuzioni come accade in Europa.
“I livelli retributivi in Italia – ha detto il Governatore in occasione di una lezione all’Università di Torino – sono i più bassi dell’Unione europea”.
A supporto delle sue affermazioni ci sono i dati di un’indagine di Eurostat che confronta le retribuzioni dei Paesi europei tenendo conto anche dell’evoluzione dei prezzi: la retribuzione media oraria in Italia è, a parità di potere d’acquisto, di 11 euro, mentre in Francia, Germania e Regno Unito è tra il 30 e il 40 per cento superiore.
Dal 1996 al 2002 le retribuzioni italiane nette sono rimaste bloccate. A tutto questo si aggiunge, anche, il peso fiscale che preleva ai lavoratori dipendenti una quota maggiore di quanto non accada in altri Paesi europei.
Sempre secondo un’indagine Eurispes del marzo di quest’anno, gli stipendi lordi in Italia, tra il 2000 e il 2005, sono cresciuti solo l’11 per cento, mentre il cuneo fiscale appare particolarmente gravoso. Più in particolare il fiscale per un dipendente italiano senza familiari a carico, grava per oltre il 45% mentre per un lavoratore con moglie e due figli a carico è del 36,6%.
Per non sottacere, poi, che in questi anni in Italia, la disparità retributiva è cresciuta in maniera esasperata; infatti, la proporzione tra le retribuzioni delle figure dirigenziali e quelle impiegatizie è cresciuta passando da un rapporto di tre a uno, fino ad un rapporto di quattro a uno. I compensi degli Amministratori delegati e dei manager fanno, poi, discorso a parte. Il rapporto, in questo caso, è anche trenta a uno. Le retribuzioni arrivano ad avere anche sei zeri. Cosa faranno mai di così tanto importante da giustificare quelle cifre se lo chiede anche il Governatore di Bankitalia.
Comunque a rimetterci sono, come al solito, solo quei lavoratori che stanno all’interno dell’arena globale del mercato del lavoro con meno strumenti di altri e che rischiano di avere posizioni sempre più deboli. A questo va aggiunto che i salari d’ingresso – come ha messo in evidenza lo stesso Draghi – sono sempre più magri e i giovani nei primi anni di lavoro sono costretti ad accettare retribuzioni che difficilmente superano i mille euro mensili, con contratti atipici la cui natura “flessibile” non sempre è tale.
In un mercato del lavoro drasticamente mutato, sembrano sempre più necessari nuovi, e più efficaci, strumenti di tutela del potere d’acquisto dei lavoratori.
Allo stato, nulla di nuovo in vista: tagli alle spese, allungamento dell’età lavorativa, incremento dei consumi per rilanciare produttività ma soprattutto flessibilità.
Questo termine è, oggi, il tormentone di tutti i giovani, anche se sembrerebbe – a detta sempre del Governatore di Bankitalia – che parlare di flessibilità non ha più significato. Bisogna andare al passo con i tempi e cambiare terminologia. Non parlare, quindi, più di flessibilità ma di creatività. Tutto ciò ha un filo logico molto chiaro che un lavoratore flessibile conosce bene.
Per “ sopravvivere” deve reinventarsi ogni giorno… quindi, diciamo che oggi non si può più parlare di lavoratori flessibili ma di “giocolieri creativi”.