E VENNE L’UOMO
“Io sono canadese” ha affermato qualche settimana fa l’Amministratore delegato di Fiat ai giornalisti tedeschi che mettevano in dubbio l’affidabilità degli italiani pronti a rilevare il 20% di Opel. È Sergio Marchionne a parlare – l’uomo nuovo della provvidenza – sponsor della tecnologia italiana, che va in giro per il mondo con tre passaporti. Nato a Chieti, emigrato a Toronto appena quattordicenne, ora residente in Svizzera con la famiglia.
Ha un accento cosmopolita questo manager europeo, parla americano e pensa americano. Ha convinto anche Barack Obama quando si è presentato chiedendo di acquisire il 35% delle azioni Chrysler. Un’Azienda salvata dallo Stato, con il 55% della Società in mano alle Organizzazioni sindacali che hanno sottoscritto l’accordo raggiunto, nonostante la previsione di ingenti tagli occupazionali e l’impegno a non indire scioperi fino al 2015.
Se qualche anno fa, qualcuno avesse detto che la Fiat sarebbe intervenuta per salvare la Chrsyler, la Opel e parte della General Motors (per i marchi in Sud America e Sud Africa), con l’obiettivo di dar vita ad un protagonista europeo del settore auto, sarebbe stato considerato matto, ritenendo impossibile una simile ipotesi. Invece, proprio nel momento più critico per il settore auto, quando tutti gli Stati del mondo hanno deciso di intervenire direttamente per evitare i fallimenti delle Industrie automobilistiche, l’Amministratore delegato della Fiat – rivolgendosi ormai solo ai vertici politici – ha prospettato salvataggi pilotati, volando da un continente all’altro, proponendo acquisizioni e partnership nei Paesi più industrializzati del pianeta. Meraviglie della globalizzazione? Miracolo italiano? Superba espressione delle capacità imprenditoriali italiane? Difficile dare risposta a queste domande e soprattutto è arduo immaginare quale impatto simili operazioni avranno sul mercato delle auto, sempre che il progetto si realizzi in pieno.
Certo, è stata geniale l’intuizione di un uomo apolide come Marchionne, che ha ottenuto la fiducia di diversi Governi dicendo, in estrema sintesi: datemi i soldi, vi salverò alcune industrie automobilistiche! I prezzi da pagare saranno alti ma nessun interesse sarà colpito radicalmente, ovvero terremo insieme tutti gli interessi. Proposta convincente, per quanto acrobatica possa sembrare, in tempi di recessione.
Tornando all nostra Fiat, è ovvio che le sue possibilità di sopravvivenza saranno in crescita se tali aggregazioni andranno in porto. Si spera, però, che a pagarne le spese non siano i lavoratori italiani, tenendo conto che, dopo anni di delocalizzazioni, i dipendenti Fiat nel nostro Paese sono 35.000 e quelli all’estero 50.000. Una Fiat indebitata (7 miliardi di debiti), che esibendo come biglietto da visita il talento di Marchionne, avrà una quota minoritaria (intorno al 10%) nella nuova società che andrà costituendosi – a guida Marchionne, però – frutto di una gigantesca operazione finanziaria, con un piano che, altresì, già preannuncia circa 17.000 licenziamenti.
Intanto, mentre la Fiat si espande all’estero, apprendiamo che in Francia i lavoratori di uno stabilimento tessile, licenziati, si sono visti offrire, in alternativa al licenziamento, il trasferimento in un’altra azienda del Gruppo. Rispetto alla eventualità di essere disoccupati, accettare un trasferimento in altra sede resta sempre un’alternativa accettabile. Ma… c’è un piccolo problema.
La sede proposta ai lavoratori francesi è all’estero, per la precisione a Bangalore in India, dove i lavoratori andrebbero a ricevere un lauto stipendio di 69 euro al mese, compresa tredicesima e contributi vari, a fronte di una settimana lavorativa di sei giorni su sette. Fortunatamente, ampliandosi il gruppo Fiat in Europa e negli USA, invece che nei Paesi in via di sviluppo, per i lavoratori italiani le prospettive di una mobilità all’estero non sarebbero così pessime, come, invece, è avvenuto per i lavoratori dell’azienda tessile francese. Anche per i lavoratori tedeschi e americani, della Opel della Chrysler le prospettive che si andrebbero a configurare dopo l’intervento della Fiat non sarebbero così negative. Se l ‘operazione dovesse penalizzare l’occupazione, per loro, è aperta la possibilità di un trasferimento negli stabilimenti Fiat italiani, magari a Pomigliano D’arco o a Termini Imerese, dove potranno sempre accedere ad uno stipendio più che rispettabile: 1000 euro al mese per sei mesi, più sei mesi di cassa integrazione ed eventualmente anche ottenere un bel sussidio di disoccupazione per i restanti dodici mesi. (e.p.)