Una delle modifiche maggiormente significative introdotte dal decreto legislativo n. 151 del 2015 (in particolare con l’art. 23 del decreto citato) ha riguardato l’articolo 4 dello Statuto dei Lavoratori.
L’articolo 4 dello Statuto dei Lavoratori disciplina il c.d. controllo a distanza, ovvero quella tipologia di controllo esercitabile da remoto dal datore di lavoro, ricorrendo a specifici strumenti tecnologici, nei confronti del lavoratore.
Il tema è sensibilissimo: l’idea di essere possibili destinatari di un controllo da parte di un operatore fisicamente posto in una posizione remota rispetto alla propria, nonché l’inconsapevolezza circa il momento esatto in cui tale controllo sarà esercitato, genera nel lavoratore un fortissimo disagio che inevitabilmente sfocia in un profondo stato di frustrazione.
A conferma di ciò, si consideri che il legislatore del 1970 decise di introdurre una disciplina particolarmente restrittiva a questa fattispecie e l’articolo 4 dello Statuto infatti recitava: Art. 4 L. 300/70 (testo previgente):
1) È vietato l’uso di impianti audiovisivi e di altre apparecchiature per finalità di controllo a distanza dell’attività dei lavoratori.
2) Gli impianti e le apparecchiature di controllo che siano richiesti da esigenze organizzative e produttive ovvero dalla sicurezza del lavoro, ma dai quali derivi anche la possibilità di controllo a distanza dell’attività dei lavoratori, possono essere installati soltanto previo accordo con le rappresentanze sindacali aziendali, oppure, in mancanza di queste, con la commissione interna. In difetto di accordo, su istanza del datore di lavoro, provvede l’Ispettorato del lavoro, dettando, ove occorra, le modalità per l’uso di tali impianti.
3) Per gli impianti e le apparecchiature esistenti, che rispondano alle caratteristiche di cui al secondo comma del presente articolo, in mancanza di accordo con le rappresentanze sindacali aziendali o con la commissione interna, l’Ispettorato del lavoro provvede entro un anno dall’entrata in vigore della presente legge, dettando all’occorrenza le prescrizioni per l’adeguamento e le modalità di uso degli impianti suddetti.
Come si diceva, il decreto 151/2015 (facente parte della riforma meglio nota come Jobs Act) ha novellato l’art. 4 e il nuovo testo in vigore è il seguente:
Art. 4 L. 300/70 (testo in vigore):
1) Gli impianti audiovisivi e gli altri strumenti dai quali derivi anche la possibilità di controllo a distanza dell’attività dei lavoratori possono essere impiegati esclusivamente per esigenze organizzative e produttive, per la sicurezza del lavoro e per la tutela del patrimonio aziendale e possono essere installati previo accordo collettivo stipulato dalla rappresentanza sindacale unitaria o dalle rappresentanze sindacali aziendali. In alternativa, nel caso di imprese con unità produttive ubicate in diverse province della stessa regione ovvero in più regioni, tale accordo può essere stipulato dalle associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale. In mancanza di accordo gli impianti e gli strumenti di cui al periodo precedente possono essere installati previa autorizzazione della Direzione territoriale del lavoro o, in alternativa, nel caso di imprese con unità produttive dislocate negli ambiti di competenza di più Direzioni territoriali del lavoro, del Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali.
2) La disposizione di cui al comma 1 non si applica agli strumenti utilizzati dal lavoratore per rendere la prestazione lavorativa e agli strumenti di registrazione degli accessi e delle presenze.
3) Le informazioni raccolte ai sensi dei commi 1 e 2 sono utilizzabili a tutti i fini connessi al rapporto di lavoro a condizione che sia data al lavoratore adeguata informazione delle modalità d’uso degli strumenti e di effettuazione dei controlli e nel rispetto di quanto disposto dal D.Lgs. n. 196/03.
Da una semplice lettura dei due testi a confronto, è possibile evincere con estrema chiarezza quale potrebbe essere il rischio derivante da una “spregiudicata” applicazione letterale della nuova norma.
Il vecchio art. 4, infatti, principiava con una esplicita volontà di negare il diritto di ricorrere a strumenti aventi la specifica finalità di operare controlli a distanza sui lavoratori: tale diniego è scomparso dalla nuova norma.
Non solo: seppure il comma 1 del nuovo articolo 4 specifichi che gli strumenti “dai quali derivi anche la possibilità di controllo a distanza” possono essere impiegati solo per esigenze di carattere organizzativo e produttivo (espressione assai vaga) e mediante accordo sindacale o autorizzazione della DTL, il secondo comma sancisce che tale regola “non si applica agli strumenti utilizzati dal lavoratore per rendere la prestazione lavorativa”.
Se questo non bastasse, inoltre, il terzo comma cristallizza il principio per il quale “le informazioni raccolte ai sensi dei commi 1 e 2 sono utilizzabili a tutti i fini connessi al rapporto di lavoro” (si pensi ai procedimenti ed alle eventuali sanzioni disciplinari).
Proprio per arginare tale rischio, è intervenuto un successivo parere del Ministero del Lavoro.
Nonostante il nuovo testo legislativo mostri un’apertura ai controlli a distanza, il Ministro del Lavoro, con comunicato stampa del 18 giugno 2015, ha evidenziato che la norma non “liberalizza” i controlli datoriali ma si limita a fare chiarezza sul concetto di “strumenti di controllo a distanza” e sui limiti di utilizzabilità dei dati raccolti attraverso tali strumenti, in linea con le indicazioni che il Garante della Privacy ha fornito negli ultimi anni.
Sempre per il Ministero del Lavoro, la modifica all’articolo 4 dello Statuto dei Lavoratori si limiterebbe infatti a chiarire che non possono essere considerati “strumenti di controllo a distanza” gli strumenti che vengono assegnati al lavoratore “per rendere la prestazione lavorativa” come pc, tablet e cellulari.
Infatti, l’accordo o l’autorizzazione non servono se lo strumento viene considerato quale mezzo che “serve al lavoratore” per adempiere la prestazione per adempiere la prestazione ma, nel momento in cui tale strumento viene modificato, anche aggiungendo software di localizzazione o filtraggi o altre applicazioni, per controllare il lavoratore, lo stesso, da strumento che “serve al lavoratore” per rendere la prestazione, diventa strumento che “serve al datore” per controllarne la prestazione per cui le modifiche effettuate diventano lecite solo in ricorrenza di particolari esigenze e previo accordo sindacale o autorizzazione dell’Ispettorato.
Da notare che anche il Garante per la Privacy, successivamente chiamato a pronunciarsi su alcune questioni, ha abbracciato la tesi ministeriale, finendo con lo svuotare quasi completamente la portata innovativa del nuovo comma 2, art. 4 dello Statuto dei Lavoratori.
Occorre peraltro (ai sensi del nuovo comma 3) che il lavoratore sia informato sulle modalità d’uso degli strumenti e di effettuazione dei controlli, il che deve essere esplicitato in apposito disciplinare interno da redigere in modo chiaro e senza formule generiche, pubblicizzato adeguatamente verso i singoli lavoratori, nella rete interna, mediante affissioni sui luoghi di lavoro con modalità analoghe a quelle previste dall’art. 7 dello Statuto dei lavoratori e sottoposta ad aggiornamento periodico, sulla falsa riga della policy per internet e la posta elettronica.